È il titolo dell’evento, patrocinato dalla Camera Minorile di Perugia e dall’Unione Nazionale delle Camere Minorili, per fare il punto ed aggiornare la comunità degli avvocati, degli assistenti sociali ed operatori dei servizi sociali e degli psicologi, sullo sviluppo dell’istituto dell’adozione, sulle caratteristiche e modalità di attuazione.
Si è svolto quindi il 5 maggio scorso, presso la sala Falcone Borsellino del palazzo della provincia di Perugia, questo importante e necessario congresso al quale sono stata invitata a partecipare quale relatrice, la cui realizzazione ha visto l’avvocato Paola Pasinato, presidente della camera minorile di Perugia, capace organizzatrice e abile conduttrice.
Apprezzabilissimo lo sforzo organizzativo di dare una connotazione interdisciplinare all’evento, invitando ad intervenire la dr.ssa Giuseppina Arcella, Giudice del Tribunale per i Minorenni dell’Umbria, l’avvocato Pietro Giovannini del foro di Perugia e la collega dr.ssa Alice Mazzei che, assieme a me, ha fornito all’uditorio il contributo clinico e psicologico-forense. Sì, perché l’adozione è uno di quei casi in cui maggiormente, e più spesso, ci si trova di fronte alla difficile decisione di scegliere tra ciò che dicono i codici e ciò che suggerisce la pratica clinica e dove l’unica opzione non può che essere focalizzata sul benessere del minore.
LA VALUTAZIONE DELLA RECUPERABILITA’ GENITORIALE
Questo è l’argomento a cui ho dedicato il mio intervento all’interno del congresso del 5 maggio.
Nello sviluppo delle procedure che portano all’adozione, acquisisce con il tempo sempre più importanza l’aspetto psicologico all’interno del processo. Una delle attività di ordine valutativo della psicologia forense, si concentra proprio sulla valutazione della recuperabilità genitoriale. La recuperabilità genitoriale è, in sintesi, la possibilità/probabilità di recupero delle capacità genitoriali rispetto alle criticità riscontrate nel genitore.
La valutazione delle condizioni psichiche del genitore deve tenere conto di due aspetti diagnostici: il primo riguarda la diagnosi nosografica, cioè quella che attiene allo studio puramente descrittivo delle eventuali patologie, quindi la presenza di indici o sintomatologia che possano ricondurre ad una patologia codificata. La seconda valutazione, la diagnosi funzionale, va invece ad esplorare quanto la patologia incida realmente nell’esercizio delle funzioni genitoriali, tenendo conto di come, nel contesto della quotidianità, l’individuo è realmente in grado di funzionare malgrado la patologia. Cercando di rendere semplice il ragionamento, si può affermare che la presenza di alterazioni codificate nel manuale di riferimento (DSM-5-TR) come psicopatologie, pur destando attenzione e suggerendo cautele nella gestione della prole, non può essere aprioristicamente considerata pericolosa o dannosa per lo sviluppo psicofisico del minore. La presenza di una psicopatologia quindi, non necessariamente è determinante nello stabilire la necessità di allontanamento del genitore stesso. Questo perché il genitore, pur in presenza di un disturbo psichico, può avere gli strumenti per farvi fronte e limitare l’incidenza della patologia stessa nell’esercizio delle proprie funzioni genitoriali. Facendo uno sforzo di immaginazione, bisogna intendere la psicopatologia non già come una situazione dicotomica (sano o malato), ma come una scala di colori che inizia con l’assenza di patologia e termina con una situazione di patologia grave, ma dove, nel mezzo, troviamo una infinità di possibili combinazioni che possono rendere la psicopatologia più o meno incisiva nella vita del soggetto e, di conseguenza, anche di chi condivide con lui le relazioni. A maggior ragione i figli.
Quindi possiamo trovare soggetti patologici a basso funzionamento, coloro che non hanno sufficienti strumenti né supporto (fattori protettivi) per limitare l’incidenza della patologia e per questo risultano gravemente critici nell’esercizio di una o più funzioni genitoriali, e soggetti patologici ad alto funzionamento, che grazie a strategie di comportamento acquisite, al supporto farmacologico, alla rete di supporto sociale di parenti, amici, e ad interventi istituzionali, riescono a moderare l’incidenza della loro patologia in modo che questa non sia invasiva nella propria vita e che non incida in maniera determinante o significativa nell’esercizio delle funzioni genitoriali.
La determinazione della recuperabilità genitoriale è quindi l’analisi della possibilità che un genitore affetto da psicopatologia, possa sviluppare strategie in grado di farlo evolvere da soggetto a basso funzionamento a soggetto ad alto funzionamento. Questo è uno dei compiti più ardui ed essenziali che il CTU (Consulente Tecnico d’Ufficio) è chiamato a svolgere all’interno di un processo di adozione.
Qualora il genitore (o i genitori) vengano giudicati recuperabili, non sarà dichiarata l’adottabilità e verrà stabilito dal Tribunale il percorso più adatto affinché il genitore possa acquisire nuovi strumenti per un esercizio più idoneo delle responsabilità genitoriali. In caso venga riscontrata l’impossibilità di recupero delle capacità genitoriali, può essere determinato lo stato di adottabilità. In casi particolari, il giudice può prevedere l’istituto dell’adozione mite.
ADOZIONE LEGITTIMANTE O ADOZIONE MITE
L’adozione legittimante comporta, per il minore, l’inizio di una nuova vita, con la conseguente perdita definitiva di ogni contatto con la famiglia d’origine. L’intero passato del minore viene secretato. L’adozione mite è un provvedimento recente che rientra nella fattispecie delle adozioni particolari e tende a colmare sia dei vuoti normativi emersi nel corso degli anni di applicazione della legge sulle adozioni, sia le evidenze scientifiche, in particolare psicologiche, emerse dagli studi sulle conseguenze psicofisiche delle adozioni. Consiste sostanzialmente nella possibilità che viene data al minore (si rammenta che il focus è sempre sul minore, non sul genitore), di mantenere un legame con la sua storia e di mantenere relazioni, anche vigilate, con uno o più membri della famiglia di origine.
Questo può avvenire, come detto, nel caso in cui il genitore non venga ritenuto idoneo all’esercizio delle responsabilità genitoriali, ma ne venga comunque riscontrata una influenza positiva nella vita del minore, tale da ritenere che l’allontanamento totale dalla famiglia di origine, previsto dalla adozione legittimante, sia per il bambino maggiormente problematico e/o dannoso rispetto al mantenimento, in qualche forma, della relazione con tutta o parte della famiglia d’origine.